Chi è Cufter? Dopo quasi un secolo, un fotografo ritorna dal passato

Il 26 maggio è uscito nelle librerie e negli store on-line il libro “Chi è Cufter”. Abbiamo avuto la possibilità di leggerlo e oggi vi parleremo del libro e dei canali social di questo strano caso storico-fotografico.

Iniziamo col dire che Cufter lo abbiamo conosciuto l’anno scorso a “Un mare di archeologia – Festival archeo-storico”. In quell’occasione, insieme ai ragazzi di una scuola superiore triestina, aveva organizzato una piccola mostra con i suoi scatti affiancati a quelli dei ragazzi. Un interessante dialogo passato-presente che ha suscitato interessanti riflessioni su quanto la città rappresentata, Trieste, fosse cambiata a quasi cento anni di distanza.

In quell’occasione i tre “scopritori” di Cufter, tra i quali Stefano Corso, l’autore del libro, presentarono il progetto con uno dei fondatori di Storigrafica. Qui potete rivedere la conferenza.

Molti elementi e indizi erano stati svelati, ma il focus della conferenza era il progetto social.

Un progetto cominciato da molto lontano: dalla ricerca storica, la digitalizzazione del patrimonio archivistico, un primo condizionamento e infine una catalogazione. Quest’ultima, eterodossa: costruita non tanto con la finalità immediata della conservazione del patrimonio, bensì utile alla scoperta del vero nome di Cufter.
L’immenso lavoro ha poi preso una forma tutta sua grazie alla rete: Instagram, Facebook, Twitter.

Account “gestiti direttamente dallo stesso Cufter”, uno smemorato fotografo che non sempre ricordava cosa aveva fotografato:

In questi casi sono proprio i followers ad intervenire e aiutare lo smemorato fotografo che ricambia con parole sempre cortesi e così desuete da sembrare ancora più gentili. L’affezionatissimo Cufter dall’Aldilà della rete torna in vita e parla con noi, ricordandoci che il nostro legame con il passato è più vivo che mai.

La copertina del libro

Il libro, edito da Castelvecchi, è un ibrido tra romanzo e ricerca. Una specie di botta e risposta tra due individui che parlano la stessa lingua: la fotografia. Questo lo si nota subito. Il punto di contatto tra Cufter e Stefano è proprio il “mestiere” di colui che ferma l’attimo, sembra di assistere al recupero di un naufrago dal mare dell’oblio più che a una “classica” ricerca storica. Non un freddo recupero di dati e documenti, bensì un rimettere insieme i pezzi per ridare forma umana a delle “piatte” lastre fotografiche. Spesso le fotografie ci dicono molto di più su chi scatta la foto anziché sul soggetto fotografato.

I capitoli, scorrevoli e godibili, si alternano. Passato e presente si intrecciano per portarci lentamente a scoprire l’identità di questo fotografo triestino, nato sotto la bandiera asburgica, ma che amava tantissimo quella italiana.
L’autore riesce a incuriosire, senza dubbio, e allo stesso tempo trasmette la medesima passione per la ricerca. Leggendo il libro accade qualcosa di strano e piacevole allo stesso tempo: ogni tanto dovrete chiuderlo per per andare alla ricerca, grazie alla rete, dei luoghi citati nel testo. Non perché sconosciuti ma perché il punto di ripresa, l’architettura, le persone ci porteranno a chiederci se anche noi, come Cufter, siamo stati lì, nel medesimo posto. Se passando di là anche noi abbiamo fatto una foto. Se fotografando quel posto siamo stati per un attimo con Cufter. La storia, che a uno sguardo superficiale potrebbe sembra un episodio marginale e locale, si fa storia visuale collettiva. La trasformazione di un intero paese: l’urbanistica, i costumi, i monumenti, ecc. ma che conservano sempre qualcosa di rintracciabile ancora oggi.

Il tempo logora e distrugge la memoria, ma a il Fato a volte si prende gioco di Crono, e migliaia di sottili lastre di vetro, ripescate per caso, ci ricordano che quel che costruiamo rimane se qualcuno ha il coraggio di prendersene cura.

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